Modalità d'intervento
L’attaccamento è alla base di ogni legame affettivo incentrato sulla ricerca di sicurezza fisica e psichica, di stabilità e di benessere in presenza dell’altro. Nel corso della vita diventa un elemento essenziale e si ritrova, ovviamente, nelle relazioni amorose, accanto a due altre componenti ugualmente importanti: la cura e la sessualità, che intervengono in maniera differente a seconda della coppia e delle storie.
Quando un rapporto affettivo diventa un “legame che stringe” in cui si altera stabilmente quel necessario equilibrio tra il “dare” e il “ricevere”, l’amore può trasformarsi in un’abitudine a soffrire fino a divenire una vera e propria “dipendenza affettiva”, un disagio psicologico che è in grado di vivere nascosto nell’ombra anche per l’intera vita di una persona, ponendosi tuttavia come la radice di un costante dolore e alimentando spesso altre gravi problematiche psicologiche, fisiche e relazionali.
Quali sono le caratteristiche delle persone con una dipendenza affettiva?
Una prima caratteristica della dipendenza affettiva è la difficoltà a riconoscere i propri bisogni e la tendenza a subordinarli ai bisogni dell’altro.
L’amare l’altro diventa spesso una forma di sofferenza; il benessere emotivo, a volte anche la salute e la sicurezza, vengono messi a repentaglio per il benessere dell’altro.
Le persone con difficoltà affettiva non riescono a prendersi cura di sé, a creare degli spazi per la propria crescita personale perché sempre prese, in quel momento, da qualche problema del partner che richiede la loro attenzione e la loro energia vitale.
La seconda caratteristica è un atteggiamento negativo verso il Sé, per cui si ha un pensiero del tipo: “io sono cattivo, gli altri sono buoni, mi trattano male per colpa mia, devo cercare di accattivarmeli” (M. Selvini Palazzoni, S. Cirillo, M. Selvini, A. M. Sorrentino, 1998).
Queste persone soffrono di un profondo senso di inadeguatezza.
Sono convinte che per essere amate devono sempre essere diligenti, amabili, sacrificarsi per l’altro per poter ricevere il suo amore. Anche quando questo vuol dire farsi male.
Chi soffre di dipendenza affettiva è ossessionato da bisogni irrealizzabili e da aspettative non realistiche. Spesso, anche se non sempre e necessariamente, la persona amata è irraggiungibile per colui o colei che ne dipende. Infatti, la dipendenza si alimenta dal rifiuto, dalla negazione di Sè, dal dolore implicito nelle difficoltà e cresce in proporzione inversa alla loro risolvibilità.
Quello che incatena nella dipendenza affettiva è l’ingiustificata, assurda, sconsiderata presunzione di farcela. La presunzione di riuscire prima o poi a farsi amare da chi proprio non vuole saperne di amarci o di amarci nel modo in cui noi pretendiamo.
La dipendenza affettiva colpisce, sopratutto il sesso femminile, in tutte le fasce d'età. Sono donne fragili che, alla continua ricerca di un amore che le gratifichi, si sentono inadeguate. Sono donne che hanno difficoltà a prendere coscienza di loro stesse e del loro diritto al proprio benessere che non hanno ancora imparato che amarsi è non amare troppo, che amarsi è poter stare in una relazione senza dipendere e senza elemosinare attenzioni e continue richieste di conferme. Nelle relazioni affettive, queste persone elemosinano attenzioni e continue conferme poiché tutto ciò aiuta a sentirsi sicuri e forti, contrastando così l'impotenza, il disagio, il vuoto affettivo che percepiscono a livello personale.
I pensieri e i vissuti emotivi nella “dipendenza dall’amore” sono principalmente connotati da:
-tendenza a sottovalutare la fatica connessa a ciò che serve ad aiutare la persona amata al punto da raggiungere, senza percepirlo in tempo, livelli elevati di stress psicofisico;
-terrore dell’abbandono che porta a fare cose anche precedentemente impensabili pur di evitare la fine della relazione;
-tendenza ad assumersi abitualmente la responsabilità e le colpe della vita di coppia;
-autostima estremamente bassa e una conseguente convinzione profonda di non meritare la felicità;
-tendenza a nutrirsi di fantasie legate a come potrebbe essere il proprio rapporto di coppia se il partner cambiasse, piuttosto che a basarsi su pensieri legati al rapporto attuale e reale;
-propensione a provare attrazione verso persone con problemi e contemporaneo disinteresse e apatia verso persone gentili, equilibrate, degne di fiducia, che invece suscitano noia.
Terapie
La psicoterapia individuale e di gruppo, il counseling individuale e di gruppo, i gruppi di auto aiuto diretti da professionisti (psicologi, psicoterapeuti, counselor, operatori sociali) e i gruppi di auto-mutuo-aiuto autogestiti (cioè senza un professionista con funzioni di guida e facilitazione) sono gli strumenti maggiormente utilizzati.
E’ importante chiarire che molti di questi metodi, di provata efficacia, non si escludono l’un l’altro: ad esempio ogni trattamento individuale (come la psicoterapia individuale) può essere associato a contesti di gruppo. Anche quando non si tratta di vere e proprie terapie, le metodologie gruppali e di counseling possono avere “effetti terapeutici”.
Si tratta, quindi, di metodi di intervento diversi ma spesso integrabili quando ad esempio in uno ci si trova in un rapporto a due (come nella psicoterapia individuale) e in un altro in gruppo.
Quanto alla terapia in senso stretto, non può essere che quella psicologica: la psicoterapia.
Attraverso di essa si mira all’obiettivo di eliminare o ridurre sensibilmente la tendenza a stabilire legami di dipendenza affettiva disadattivi, fonte di sofferenza e tendenti alla cronicità (per non dire della tragica possibilità che possano evolvere in comportamenti violenti e letali per sé e per gli altri).
La psicoterapia opera attraverso la ricerca del significato e delle cause che stanno alla base di queste scelte relazionali patologiche. Il problema è attuale e urgente, quando ci si rivolge allo psicoterapeuta, ma ben presto emerge come esso non sia così nuovo nella vita del soggetto e spesso sia di antica data, con probabile origine nelle relazioni familiari precoci, oltre che in particolari circostanze di vita oggettivamente negative e/o traumatiche. Ma la psicoterapia è anche un’esperienza di relazione sana. Una relazione a fini terapeutici con un interlocutore capace di accettarci per quello che siamo realmente, non sono necessarie finzioni, omissioni e, pur giustificabili, timori di giudizio. L’esperienza stessa delle metodologie individuali e di gruppo diventa sovente “terapeutica”, perché ci consente di partecipare ad un’esperienza salutare, dove instaurare rapporti nuovi e più soddisfacenti e il tutto con l’obiettivo di intraprendere la strada dell’autonomia e della maturità affettiva
Come intervenire
Come per ogni problematica affettiva anche in questo caso è importante un supporto psicologico. Con questo termine non si intende solo la psicoterapia vera e propria ma tutto ciò che, con strumenti attinenti alle scienze psicologiche e umane, può aiutare a essere maggiormente consapevoli delle proprie problematiche affettive e a superare, in minore o maggiore misura, questa condizione di malessere che, con il tempo, rischi di divenire sempre più invalidante per la vita della persona stessa.
Quindi, oltre alla psicoterapia vera e propria, i gruppi di auto-aiuto e il counseling sono strumenti diffusi ed efficaci per migliorare le capacità individuali di fare fronte a questa forma di dipendenza.
Sia situazioni individuali (psicoterapia o counseling) sia di gruppo (le precedenti più i gruppi di auto-mutuo-aiuto) possono rappresentare un contesto appropriato per capire, sviscerare e superare questa tendenza alla “dipendenza affettiva” che, al pari di altre dipendenze patologiche, determina un grave disequilibrio nella personalità e nella vita quotidiana della persona.
In particolare, nel caso dei gruppi di self-help, il confronto con altri, con problematiche simili alle nostre, permette una forma di scambio reciproco (l’auto-mutuo-aiuto) che produce ragguardevoli risultati.
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La mia esperienza inizia come ammalato e poi si trasforma in caregiver.
Infatti all’inizio del 1999, nel mese di Marzo e poi nel mese di Maggio per strada e, fortunatamente vicino casa, improvvisamente perdevo feci in abbondanza, come se qualcosa mi scoppiasse dentro e spingesse tutto fuori.
M.V.
Il mio nome è G.A. ho 80 anni e sono il caregiver di una donna a me cara operata al seno. L’ho accompagnata alle visite e lungo tutto il suo percorso, fino ad approdare assieme dalla Dottoressa Rendina Margherita.
G.A.
Così trovai da sola la Dottoressa Rendina e iniziai in segreto la mia psicoterapia. Fu un percorso molto produttivo. Dopo un primo momento, che durò qualche mese, di crisi e disorientamento, presi consapevolezza di mè, di cosa volevo, di quali erano i miei difetti che mi avevano incastrato in quella relazione, di quali erano le mie responsabilità...
D.L.
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